Dopo che Luisa é stata proclamata venerabile la sua storia è stata conosciuta da tutti . Tutti sanno della sua vocazione di medico e di laica consacrata perseguita per tutta la sua breve e intensa vita. Tutti conoscono l'amore verso Dio e verso i poveri e i malati che ha guidato le sue scelte fino al dono della vita. Questa sua capacità di amare l'ha sostenuta nei momenti più duri della vita missionaria, nell'esercizio della professione medica svolta in condizioni estremamente difficili; nonostante le difficoltà e lo sconforto che provava in alcuni momenti Luisa non si è arresa.
Scrive in una lettera: "al principio ti senti abbandonata a te stessa e il periodo é faticosissimo; poi invece é il Signore che ti aiuta nella preghiera e avverti, quasi fisicamente quanto il Signore ti ami, quanto ti voglia bene. In questa coscienza il cuore si dilata e tu ami concretamente tutti.". In un'altra lettera scrive "in missione la vita é semplice e gioiosa, anche se c'è troppo lavoro. Sono felice come non lo sono mai stata. Il Signore é stato buono con me! Amo la gente, amo i miei pazienti e loro amano me". E ancora, parlando dei suoi pazienti lebbrosi, scrive:" a prima vista sembrano ripugnanti con le loro piaghe, i loro moncherini e le loro facce deformi. Ma poi, entrando nella luce di Dio, diventi capace di vera amicizia. Diventano amabili e tu puoi ammirare la loro paziente rassegnazione. Non li ami solo, come suol dirsi, per amor di Dio, ma perché sono tuoi amici. Spero che capiate cosa voglio dire. E' un'esperienza meravigliosa.". Si commuove nel vedere che, nonostante tutto, sono ancora capaci di sorridere, scherzare e ringraziare. Quando si reca all'ospedale di Harare con i casi più gravi, tutti restano sbalorditi nel vederla arrivare con la land rover piena di lebbrosi che cantano e battono le mani e le danno il soprannome di "happy doctor", la dottoressa felice.
In una lettera del 1971 scrive:"qualche volta mi capita di pensare che qui in Africa ho trovato il paradiso in terra e mi domando quanto durerà. So che facilmente tornerà la croce ed ho un pò paura, a dire il vero un pò più di un pò. Poi penso che anche il Signore davanti alla croce ha avuto paura, probabilmente é l'atteggiamento giusto. Quel che é importante é portarla anche se fa paura e quando viene il momento, appoggiarsi alla sua forza". Luisa sente sempre più l'appartenenza al paese in cui vive. Scrive ai suoi amici: " sono molto contenta di vivere in una missione tutta africana", "noi in missione cerchiamo di vivere in un clima di famiglia, come la prima comunità di Gerusalemme.
Come sarebbe bello se riuscissimo ad amarci come Lui ci ama", .In Zimbabwe però le contraddizioni esistenti nella realtà politica e sociale, il regime di apartheid ancora vigente, la povertà e la mancanza di lavoro conducono inevitabilmente a una guerra civile. Luisa si sente "parte di questo popolo che cerca l'indipendenza". Scrive ad un'amica:"Vivo in una missione africana in un clima di fraternità e di carità che diventa più evidente nel clima di emergenza in cui siamo ora. Gli africani cercano giustamente l'indipendenza dal colonialismo europeo. Mi auguro che l'indipendenza venga e venga presto senza tanto spargimento di sangue.
Prega perché lo spirito di amore cresca di continuo e che un giorno pagani e non, guardandoci, possano esclamare: guardate come si amano. A me questa sembra la testimonianza più importante". E ancora "Ogni volta che prendo l'ambulanza per una chiamata c'è sempre un paziente, una suorina africana che si offre per difendermi, per dividere il pericolo che corro, io europea. Questo é tanto bello. Mi sembra quasi che sia anticamera di paradiso". La situazione politica diventa sempre più difficile e pericolosa ma Luisa vuole restare "Sono molto contenta di restare qui in questo momento, quando la gente soffre.....E' molto importante che i missionari restino.
La giovane Chiesa locale ha bisogno di vedere che i missionari continuano ad aiutarli perché sono figli della Chiesa, non legati a un regime politico". Nel giugno del 1976 Luisa presta soccorso a un giovane con ferite da arma da fuoco e viene arrestata. Passa quattro giorni in carcere con il rischio di una condanna anche all'impiccagione e racconta ad un'amica:" la prima notte è stata dura. Non potevo prendere sonno .Avevo nostalgia di mia madre morta trent'anni fa, avevo nostalgia delle mie infermiere che mi avevano salutato tra le lacrime, avevo nostalgia di Rina, del mio vecchio padre, di tutte voi.
Riandavo con la mente ai pensieri più rasserenanti della teologia, ma mi veniva da piangere.
Poi è venuto un pensiero: non sarei qui se non amassi il Signore. Non sarei qui se il Signore non mi amasse tanto". E dopo essere stata liberata scrive: "sono così contenta di essere qua. Tutto mi sembra così bello. La gente viene
ancora a congratularsi. Povera gente che sta per andare nei villaggi protetti. E' ammirevole la loro generosità, la loro capacità di tener dentro e di non lamentarsi....Sono tantissimi quelli che si sentono miei fratelli e mie sorelle in questi giorni. Ricevo rallegramenti da un'infinità di gente. Non mi sono mai sentita amata come in questo periodo.
E' verissimo che non farsi una famiglia per amore di Dio non è per niente rinunciare all'amore. Questa gente mi ama sinceramente, di tutte le razze, di tutte le religioni, di tutte le tendenze politiche.......Il Signore è molto buono e secondo il suo stile dà la croce per tre ore e la resurrezione per l'eternità". Purtroppo in breve tempo la situazione precipita, la missione diventa un villaggio protetto sottoposto a un severo coprifuoco, con condizioni igieniche pessime e con conseguente aumento di malattie e mortalità, i campi sono distanti e non possono essere coltivati, c'è scarsità di acqua, aumentano fame e povertà.
Luisa parla di una strage di bambini; la forzata clausura è difficile da sopportare, le strade sono minate, telefono e radio non funzionano, cominciano ad essere imprigionati e uccisi missionari e sacerdoti. Agli inizi del 1977 viene imposto il coprifuoco per 12 ore al giorno, aumentano gli scontri e le morti di innocenti. Luisa impegna tutte le sue forze per far fronte a questa situazione drammatica: pratica vaccinazioni, somministra medicine e pasti iperproteici ai bambini, in ospedale vengono distribuiti pasti gratuiti. Luisa cerca di nascondere la verità al vecchio padre, ma aumentano i villaggi bruciati e i missionari uccisi, l'ospedale viene anche colpito da cannonate e proiettili, per fortuna, racconta Luisa, senza nessun ferito grave e nessun morto.
La guerriglia si inasprisce e si trasforma in guerra civile; 45 missionari sono uccisi in due anni, molti medici missionari vengono deportati o vanno via, di 35 medici ne rimangono solo due. Luisa lavora 12 ore al giorno a volte anche più di 20 ore di seguito: non può più trasferire i malati che necessitano di interventi complessi, vive momenti di sconforto per il senso di inadeguatezza che ben conoscono tutti i medici che si trovano ad operare in condizioni estreme, pensa ai suoi cari, agli amici, ha nostalgia dei suoi affetti e della casa in cui ha trascorso l'infanzia, ma non vuole lasciare il paese che considera la sua seconda patria perché sa che non la farebbero più tornare.
Scrive:" umanamente lasciare la missione è l'ultima cosa che vorrei fare". All'inizio del 1979 la sua amica e infermiera Rina torna in Italia per essere sottoposta a un intervento chirurgico e Luisa resta sola. Scrive:" preti e suore si fanno in quattro perché io non resti sola e questo è bello. Bello è anche sentire che, malgrado la tua pelle bianca, la gente ti ha accettato e sei Shona con gli Shona". In un'altra lettera scrive:" se si abbandona in questo momento la gente, che è in estremo bisogno, tutta la nostra testimonianza cristiana viene a mancare". Adele, presidente della sua associazione le concede di restare nella missione e Luisa scrive all'amica Lucia:" ho bisogno che tu scriva perché sono sola.......ti dico cosa mi aiuta a sollevarmi dalla solitudine umana di cui soffro.
Penso che la solitudine sia una croce tipica della nostra età. Psicologicamente sentiamo ancora il bisogno di essere protette, di essere figlie e gli altri vedono in noi delle persone anziane, a cui si deve chiedere e che non hanno bisogno di ricevere.......E' pesante essere soli, non avere a volte nessuno con cui parlare"...Si affida sempre di più a Dio: " mentre da un punto di vista naturale da bambini si diventa giovani e da giovani si diventa vecchi, da quello soprannaturale da vecchi si deve diventar giovani e da giovani bambini, sempre più bambini, sempre più dipendenti nelle mani del Padre che ci offre di continuo la gioia della sua paternità......nella vita dei santi quello che si chiama il giorno natale è quello della morte, perché è con la morte che si entra nella vera vita che è quella eterna".
Il pensiero della morte è sempre presente in lei, la guerra civile continua più aspra che mai, continuano uccisioni e bombardamenti, nonostante le elezioni appena concluse. Luisa racconta:" le elezioni sono appena finite: i votanti sono stati più del 50%. E' facile convincere una popolazione impaurita a votare con i fucili spianati e così, legittima o illegittima, Zimbabwe-Rhodesia sta nascendo, ma nasce senza libertà. E' così penoso che sia esclusivamente la paura a guidare la gente nelle scelte. Per Pasqua naturalmente chiesa vuota, neppure una confessione. Eppure sono così contenta di essere qua, di essere stata scelta dal Signore a dargli testimonianza in circostanze come queste, sono così contenta di sentire ogni giorno di più che i fucili non mi fanno paura perché la mia forza è Lui: Non temete chi può uccidere il corpo....".
Molte suore vengono ritirate dall'ospedale, le infermiere disertano la chiesa, Luisa è sempre più sola, abbandonata da coloro su cui credeva di poter contare, "bisogna che impari a contare sul Signore e basta, ma provo ogni giorno e sbaglio ogni giorno" scrive. "La croce adesso è pesante , ma è insieme anche dolce da portare; ha il profumo della resurrezione".
L'avventura terrena di Luisa volge al termine; un mese prima di essere uccisa scrive: "il Signore ci ha messo in questo periodo, in questa situazione perché vuole che impariamo a tornare a casa, che impariamo a tornare a Lui, che impariamo a cercare una sola consolazione, le sue braccia, che impariamo ad aver bisogno solo di Lui. E' un pò che provo ad entrare in questo ordine di idee e avverto la sua presenza concreta anche se misteriosa.
Sparano ma Lui è con me. Sono nei pericoli di ogni genere, ma non sono sola. Apparentemente sembro completamente abbandonata, ma Lui, con infinita delicatezza trasforma per me ogni cosa in grazia......sono sua figlia e Lui mi ama. .". In alcune sue riflessioni trovate dopo la sua morte prega:" Maria sta vicino a me quando morirò.... Padre mio dammi una bella morte. Una morte bella è morire d'amore".
La mattina del 6 luglio 1979 Luisa, alle prime luci dell'alba, accompagna una donna all'ospedale di Nyadiri per un parto difficile e decide di andare da sola per non esporre al pericolo altre persone; al ritorno un convoglio militare spara sull' ambulanza guidata da Luisa e la uccide. Le circostanze non sono mai state del tutto chiarite ma si ritiene impossibile che non sia stata riconosciuta la vettura che riportava anteriormente la scritta ambulanza e la croce verde su ogni lato del veicolo.
Si conclude così il viaggio terreno di Luisa. Il significato della sua breve vita è racchiuso tutto nella semplice frase della vecchia infermiera africana che in un'intervista dice sorridendo:" Luisa ci ha insegnato l'amore".
Esprimo profonda gratitudine a coloro che ci hanno sostenuto durante questi anni e a chi si unirà a noi nel cammino che abbiamo intrapreso per offrire aiuto.
La solidarietà è il nostro unico mezzo per nutrire la speranza di migliorare le condizioni di vita di coloro che soffrono.
Con gratitudine,
Il Presidente dell'Associazione Sanitaria Internazionale (ASI)