Al ritorno in India dopo la specializzazione ho trovato lavoro in un ospedale di Goa come primario. Ma io non ero soddisfatta di questo lavoro, sentivo un forte desiderio di dedicare la mia vita ai poveri e non mi accorgevo che era l'inizio di una nuova vita che il Signore preparava per me. Durante questo periodo ho incontrato un gruppo di amici e alcune famiglie cattoliche appartenenti a un gruppo di carismatici che animavano le preghiere comunitarie durante le quali leggevano frequentemente la Sacra Scrittura.
Senza saperlo, o meglio per curiosità, ho partecipato a questi incontri di preghiera; poiché . mi davano tanta gioia e pace, ho cominciato a leggere la Bibbia da sola. Il versetto dal vangelo di San Giovanni 3; 1, “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia ma abbia la vita eterna”, mi riportava continuamente in mente questa domanda "Lui e’ morto anche per me?"
Dopo una lotta interiore durata due anni ho detto il mio "Sì" alla chiamata del Signore. Prima di prendere tale decisione ho avuto tanti dubbi al pensiero di lasciare tutta la mia famiglia e la tradizione in cui ero cresciuta e in cui credevo. In India convertirsi dall’Induismo a qualunque altra religione era molto difficile. Diventi un estraneo per la famiglia e nella vita sociale, non hai più alcun diritto.
Ma Il Signore una volta che decide non si tira indietro, Lui mi ha dato la forza e il coraggio per seguirlo, così il 15 settembre del 1983, nel giorno della festa della Madonna Addolorata sono stata battezzata all’età di 39 anni con il nome di Teresa Neela. Grazie all’aiuto del Signore sono riuscita a mantenere buoni rapporti con i miei familiari.
Successivamente il Signore ha voluto arricchire ancora la mia vita con la chiamata alla vita missionaria consacrata. Nella ricerca di “dove e come” seguirlo nel 1986 ho incontrato una donna straordinaria Adele Pignatelli fondatrice di ASI. Dopo la formazione spirituale e culturale a Roma presso l’associazione, richiesta per ogni persona che parte per una missione in terra lontana, sono andata in Zimbabwe nell’ospedale di St. Albert. Qui ho sentito che era proprio il posto preparato per me.
Lo Zimbabwe è una nazione molto povera, St. Albert è l’unico ospedale per circa 136.000 persone che soffrono per la malnutrizione e per varie malattie ( malaria, , tubercolosi, HIV-AIDS, gastroenteriti, etc.)che molte volte sono fatali.
Ho lavorato in ospedale insieme a un’altra dottoressa, Elizabeth Tarira. Qui la giornata iniziava nelle prime ore del giorno con una preghiera personale e comunitaria. Questo momento era molto importante per noi perché ci aiutava a trovare la forza necessaria per affrontare la giornata spesso molto dura, ci aiutava ad essere disponibili verso gli altri anche quando la fatica si faceva sentire.
Lavorando con i malati non è possibile mantenere un orario rigido; molte volte abbiamo lavorato giorno e notte, specialmente se colui che era davanti a noi era una persona affetta da malattie gravi che aveva camminato per tanti giorni molte volte senza aver mangiato. In queste situazioni non possiamo dire “io ho terminato il mio lavoro per oggi, ti vedo domani”. Nelle missioni non è possibile rispettare gli orari e svolgere solo i compiti relativi al proprio ruolo, molte volte il medico deve svolgere il lavoro di infermiera o di aiutante, deve stare al capezzale di un malato moribondo che è solo e accompagnarlo a varcare la soglia da questa all'altra vita.
C’era anche tanta gioia nel veder nascere tanti bambini, nell'accoglierli dal primo momento della loro vita con un sorriso pieno di tenerezza e potersi congratulare, con la madre.
Il senso della nostra professione consiste nel vedere Cristo nel malato di cui ti stai prendendo cura, allora riesci ad avere l’amore, la pazienza, la compassione, la delicatezza, la disponibilità, la gioia di servire come Gesù’.
Durante un incontro con i giovani di Ferrara, Neela parlò della sua esperienza in Zimbabwe nel periodo in cui lavorava nell'ospedale di S.Albert con Elisabeth Tarira.
Esprimo profonda gratitudine a coloro che ci hanno sostenuto durante questi anni e a chi si unirà a noi nel cammino che abbiamo intrapreso per offrire aiuto.
La solidarietà è il nostro unico mezzo per nutrire la speranza di migliorare le condizioni di vita di coloro che soffrono.
Con gratitudine,
Il Presidente dell'Associazione Sanitaria Internazionale (ASI)